Calcio e guerra in Ucraina: ucciso il presidente del Vorskla

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Damiano Benzoni

Continuano le traversie del calcio ucraino nel mezzo della guerra civile: sabato 26 luglio il presidente del Vorskla Poltava, Oleh Babaev, è stato assassinato di fronte a casa sua. Il quarantanovenne Babaev è stato ucciso da un individuo col volto coperto che, con una pistola con silenziatore, ha sparato tre colpi dopo aver bloccato col proprio veicolo l’automobile del presidente del Vorskla, appena uscito di casa. Babaev, oltre a guidare la squadra di Poltava dal 2005, era anche sindaco di Kremenčuk, una centro industriale di 230 mila abitanti sulle rive del Dnepr, e presidente ad honorem della squadra di Kremenčuk, il Kremin’. Negli stessi giorni un razzo montato a spalla aveva colpito la casa del sindaco di Leopoli, nell’Ucraina occidentale: Andrij Sadovij in quel momento era fortunatamente assente. Si sospetta che l’attentato contro Babaev sia di matrice filo-russa, visto il supporto dato dal presidente del Vorskla al movimento di protesta contro il deposto presidente ucraino Viktor Janukovyč e che Babaev era stato deputato per il partito di Julija Tymošenko. Non è il primo attentato al presidente di un club nella storia della repubblica ex sovietica: il 15 ottobre 1996 il presidente dello Šachtar Donec’k Oleksandr Brahin, detto Alik il Greco, dopo essere sfuggito a una serie di attentati fu ucciso in un’esplosione radiocomandata nella sala VIP dello Šachtar Stadion mentre si accingeva ad assistere a una partita del suo club.

La stagione calcistica ucraina si è da poco aperta in maniera surreale. La lega è stata ridimensionata da sedici a quattordici squadre con l’esclusione delle due compagini crimeane del Tavrija Simferopoli e del Sebastopoli, che per ora non sono state iscritte alla lega russa nonostante l’annessione de facto del territorio dall’esercito russo. Inoltre quattro squadre, provenienti dalla regione del bacino del Don (Donbass) in cui imperversa l’insurrezione filorussa, stanno disputando i propri incontri casalinghi a Leopoli (dove si sono accasati Šachtar Donec’k e Metalurh Donec’k), Kiev (Olimpik Donec’k) o Zaporižžja (Zorja Luhans’k). Uno degli impianti sportivi di Luhans’k, lo stadio Avangard, è stato raggiunto da un colpo di mortaio sparato dall’esercito ucraino alcuni giorni prima dell’attentato contro Babaev. Non solo le squadre del Donbass affrontano le conseguenze del conflitto: in seguito all’abbattimento del volo MH17 della Malaysia Airlines in territorio separatista, il Copenhagen e la DBU (la federcalcio danese) hanno insistito per spostare la gara di qualificazione alla Champions League contro il Dnipro da Dnipropetrovs’k a un campo neutro.

Diversi giocatori stranieri hanno rifiutato di rientrare nel paese: lo Šachtar Donec’k ha vinto la Supercoppa Ucraina per 2-0 contro la Dynamo Kiev nonostante il forfait di alcuni giocatori brasiliani, tra cui il nazionale Fred, scappati dopo un’amichevole contro il Lione in Francia per paura del conflitto. Particolare scalpore ha destato la notizia della cartolina di chiamata alle armi ricevuta da un altro brasiliano, Edmar Lacerda del Metalist Charkiv, naturalizzato ucraino dal 2011 e residente nel paese da dodici anni. La chiamata alle armi è poi stata ritirata dopo l’intervento del club.

I fatti ucraini stanno anche influenzando l’opinione pubblica riguardo la prossima Coppa del Mondo, che si terrà in Russia nel 2018. Se la FIFA ha negato la possibilità di un cambiamento di rotta, il vicepremier britannico Nick Clegg ha chiesto che l’Unione Europea si comporti in maniera più decisa nei confronti del presidente russo Vladimir Putin e ha dichiarato che “Se [Putin] prosegue con questo atteggiamento guerrafondaio è impensabile che possa avere il privilegio di ospitare la Coppa del Mondo del 2018. Non si può permettere che il bel gioco venga rovinato dalla orrenda aggressione della Russia sul confine russo-ucraino”. Prima dell’incontro di Supercoppa tra Šachtar e Dynamo, i tifosi delle due squadre si sono riuniti in un corteo a Leopoli, insieme ai tifosi della squadra locale del Karpaty, per manifestare contro Putin e le forze filo-russe.

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