Damiano Benzoni
A due minuti dal fischio finale, Ahmed Fathi trova il passaggio giusto per el-Sayed Hamdi, che lascia partire un tiro basso, imparabile per il portiere Chrifia. L’al-Ahly pareggia i conti con l’Espérance, passato in vantaggio all’inizio del secondo tempo con un gol su calcio d’angolo di Walid Hichri. La gara è l’andata della finale della Champions League africana, terminata 1-1 allo stadio Borg el-Arab di Alessandria d’Egitto l’altro ieri sera. L’al-Ahly del Cairo può tirare un sospiro di sollievo alla sconfitta evitata all’ultimo, l’Espérance invece, nonostante il disappunto per la vittoria mancata, ha il conforto del leggero vantaggio dovuto alla rete segnata fuori casa. Il ritorno si disputerà allo Stade Olympique de Radès, in Tunisia, tra due settimane. L’al-Ahly e l’Espérance Sportive de Tunis sono le squadre più titolate dei rispettivi paesi: trentasei campionati egiziani e trentacinque coppe nazionali per i primi, ventiquattro campionati tunisini e quattordici coppe per i secondi. L’al-Ahly è anche la squadra più titolata in campo continentale, avendo vinto sei volte la Champions League africana tra il 1982 e il 2008. L’Espérance, campione uscente, aveva vinto il trofeo solo un’altra volta, nel 1994.
Al-Ahly ed Espérance, soprattutto, sono stati protagonisti delle vicende politiche recenti dei rispettivi paesi e di tutto il nord Africa, da quando a fine 2010 un’ondata di proteste ha incendiato la Tunisia. La rivolta avrebbe poi portato alle dimissioni e alla fuga in Arabia Saudita del presidente Zine el-Abidine Ben Ali e avrebbe contagiato tutta l’area, dando il calcio d’inizio alla cosiddetta Primavera Araba. Il primo paese a subire il contagio fu proprio l’Egitto, dove le tifoserie delle due squadre principali del Cairo, al-Ahly e Zamalek, riuscirono a mettere da parte le proprie rivalità e furono un polo organizzativo vitale per la rivoluzione di piazza Tahrir, che portò alla caduta di Hosni Mubarak. Le due rivoluzioni portarono all’arresto dei campionati dei due paesi, ripresi in tarda primavera e terminati con i trionfi di al-Ahly (al settimo titolo consecutivo) ed Espérance. In Tunisia la stagione terminò di fronte agli spalti vuoti, per la decisione di disputare le rimanenti partite a porte chiuse; in Egitto si decise invece di bloccare le retrocessioni e di aumentare il numero di squadre del campionato successivo da sedici a diciannove.
Nel settembre 2011 le due squadre si incontrarono per la prima volta dallo scoppio della Primavera Araba, in occasione di una partita di Champions League. La partita al Cairo era stata preceduta da una serie di avvenimenti violenti che avevano coinvolto gli Ultras Ahlawy, la tifoseria militante e iperpoliticizzata dei padroni di casa: scontri allo stadio con le forze di sicurezza – con tanto di tre vittime – e la partecipazione al saccheggio dell’ambasciata israeliana. Anche l’Espérance e un’altra squadra di Tunisi, il Club Africain, erano state coinvolte in alcuni incidenti nelle settimane precedenti. Nonostante l’impegno degli Ultras Ahlawy per tenere gli animi sotto controllo durante l’incontro con l’Espérance, nell’occasione si rinnovarono gli scontri con le forze di sicurezza – istituzione contestata per i suoi legami con il regime e per il ruolo giocato nel riassetto dell’era post-Mubarak, dominata dal regime militare. Il risultato sul campo fu un pareggio 1-1, che eliminava di fatto l’al-Ahly dal torneo: gli ultrà cercarono di sfogare la propria delusione assalendo i giocatori di entrambe le squadre e cercando di irrompere nello spogliatoio dell’al-Ahly.
Se i disordini allo stadio non sono mai mancati nel calcio nordafricano – l’Étoile du Sahel, rivale tunisina dell’Espérance, è stata squalificata dalla Champions League africana dopo un’invasione di campo e il lancio di oggetti e fuochi d’artificio durante una partita contro i propri connazionali – in Egitto il conflitto tra ultrà e forze dell’ordine si è radicalizzato dopo l’incidente di Port Sa’īd. Il primo febbraio una violenta carica di tifosi armati della squadra di casa, l’al-Masry, provocò la morte di 79 persone alla fine di un incontro con l’al-Ahly. Le immagini delle forze dell’ordine, rimaste in disparte senza intervenire, hanno sollevato il dubbio che Port Sa’īd fosse un tentativo, sfuggito di mano, di dare una lezione ai militanti della curva per il loro antagonismo politico. La polizia avrebbe anche permesso ai tifosi dell’al-Masry di introdurre armi nello stadio. Dopo Port Sa’īd il resto del campionato egiziano è stato cancellato, ed è stato permesso solo ad al-Ahly e Zamalek di disputare, rigorosamente a porte chiuse, i rispettivi incontri di Champions League.
La partita con l’Espérance è stata la prima in Egitto a venir disputata di fronte a un pubblico dopo Port Sa’īd. Gli ultrà egiziani stanno cercando di evitare la ripresa dei campionati fino a quando non verrà fatta giustizia per le vittime e sostengono che i progressi nel processo contro 74 persone (e nove ufficiali delle forze di sicurezza) siano troppo lenti. Le curve chiedono che le forze di sicurezza smettano di occuparsi della sicurezza negli stadi e che vengano completamente riformate. Tra le recenti proteste, i tifosi hanno attaccato gli uffici della EFA (la federcalcio egiziana), il campo di allenamento dell’al-Ahly e gli uffici di alcuni media. Le curve hanno inoltre spesso criticato i calciatori, accusati di non aver preso le parti dei loro sostenitori durante le proteste. Un’eccezione è proprio il beniamino dell’al-Ahly, Mohamed Aboutreika, capocannoniere della CAF Champions League tornato a giocare proprio l’altro ieri dopo una sospensione di due mesi da parte del club: il giocatore si era infatti rifiutato di giocare la finale della supercoppa egiziana, rendendo noto il suo supporto per le richieste degli Ultras Ahlawy su Port Sa’īd.
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